Sono già passati 30 anni, eppure per chi ha anche solo sfiorato (come me che ero bambino) quell'epoca, sembrano passati 30 giorni.
Gilles Villeneuve, con la sua morte prematura è stato consegnato alla Storia delle Corse con un bagliore sicuramente superiore ai suoi risultati ma forse non superiore a quella che era la sua fama da vivo.
Ma è un bagliore intriso di retorica, luoghi comuni, frasi fatte e a me ogni anno si spezza letteralmente il cuore.
E' più forte di me, ma quei servizi che raccontano la sua carriera per episodi più o meno eclatanti secondo me non rendono giustizia al Pilota, all'uomo da corsa che era. Perchè Gil non era solo uno che faceva traversi, passava sull'erba e decollava al contatto con chi non gli dava strada: è stato infatti un pilota di una velocità e un talento spaventosi.
Se poi aggiungiamo che per ripicca nei confronti di Lauda, Enzo Ferrari decise di scommettere sul pilota meno conosciuto in circolazione, abbiamo di fronte una delle più grandi scoperte umano-motoristiche di tutti i tempi. Perchè quando Gilles Villenuve salì sulla Ferrari non era il Supercampione da 100 milioni di dollari e non strappò un contratto da nababbo, anzi. Era un uomo che quasi non si rendeva conto della sua popolarità. Perchè la ottenne rimanendo se stesso. Quello che gli altri chiamavano "spettacolo", lui lo chiamava correre, cercare il limite. Non importava che fosse per un podio o per un 12° posto. Non importava ci fosse in ballo il titolo di Campione del Mondo o si trattasse di una sessione di prove libere: lui dava il massimo SEMPRE.
Quando scomparve avevo più meno l'età di mio figlio oggi, ma osservandolo devo dire senza falsa modestia che in certe cose ero un piccolo prodigio. I miei genitori mi portarono la prima volta in autodromo a vedere la F1 nel 1977 (avevo 3 anni!) col risultato che all'inizio degli '80 io conoscevo una per una tutte le macchine, tutti i numeri e tutti i caschi dei piloti! No, non è una balla! Leggevo Autosprint anzichè Topolino, ricalcavo su carta carbone gli "spaccati" disegnati da Piola, chiedevo cosa fosse ogni organo meccanico, a cosa servisse e come funzionasse. Per mia fortuna mio padre era sempre in grado di rispondermi con estrema precisione e chiarezza. Magari non sapevo chi era in testa alla Serie A o di che colore avessero le maglie le varie squadre, ma sapevo che un turbo prendeva il moto dai gas di scarico e che le minigonne sigillavano il flusso dell'aria sotto le vetture creando un risucchio chiamato "effetto suolo".
A Imola, quando ci piazzavamo alla Rivazza, prendevo i tempi con un vecchio cronografo Lorenz che mi prestava mio padre e sapendo che all'uscita dalla seconda curva attorno alla collina i piloti si lanciavano, riuscivo ad anticipare i tempi prima che li comunicasse lo speaker del circuito, al punto che più sconosciuti mi chiedevano ad ogni giro come andavano le Ferrari. A quei tempi non c'erano smartphone e live timing online.
In questa baraonda di cambiamenti, Gilles era sempre lì a lottare al limite delle PROPRIE possibilità, quando altri magari avrebbero sbattuto la porta. A salvare il rapporto fra la Ferrari e il canadese fu sempre e solo il Drake. Per Enzo, Gilles si sarebbe gettato tra le fiamme, per tenerselo Ferrari avrebbe messo sottosopra la Scuderia. Non a caso, nel libro "Piloti che gente" serie di ritratti ironici e commoventi dei piloti, Ferrari, l'Ingegnere più scorbutico di tutti i tempi, conclude così la parte su Gilles: "Io gli volevo bene".
Ecco io il giorno prima di quella domenica nera per Villeneuve ero a Imola.
Con l'amico di una vita Alessandro si correva su e giù per la Rivazza, ci si intrufolava tra le siepi per scorgere l'elicottero coloratissimo del nostro idolo, parcheggiato nel prato adibito a eliporto. E strisciavamo rannicchiati sotto le tribune delle "Acque Minerali" dove solo dei bambini potevano permettersi di passare davanti a tutti oppure schiacciavamo i nostri nasi minuscoli contro le reti per vedere quella Ferrari uscire di traverso dalla "Variante Alta". E non ne avevamo mai abbastanza. Ogni staccata, ogni fiammata dallo scarico, ogni fumata delle gomme noi eravamo lì a goderceli credendo che tutto sarebbe continuato all'infinito.
Oggi non manchiamo mai di rendere omaggio al monumento dedicato a Villeneuve nella sua curva omonima. E poco più in là si è purtroppo aggiunto "l'amico Ayrton". Ma chissà perchè ci ricordiamo di ogni momento di quella giornata. E delle giornate che sarebbero venute poi.
Ma mio padre sugli orari era intransigente: bisognava fuggire dall'Autodromo prima che lo facesse la folla e ci avviammo 5 minuti prima della fine delle prove ufficiali.
Mentre attraversiamo la passerella sulla sommità della Rivazza si alza un boato, è lui. Corro a sbirciare attraverso le reti, fra un pannello pubblicitario e l'altro. Lo saluto con la manina come solo un bambino che crede di essere visto può fare mentre la Ferrari numero 27 sfiamma buttando dentro una marcia dopo l'altra:
"Ciao Gil, ci vediamo l'anno prossimo"
E non lo rividi mai più.